Lucio Rosa – Rassegna

I miei film, documenti per le generazioni future

“Servono cuore, cervello e fisico  per fare questo lavoro. Bisogna portare zaini e attrezzatura molto pesanti e avere tanta fantasia”.

Lucio Rosa, vive e lavora tra Bolzano e Venezia, sua città natale. Sono centinaia i suoi lavori, tra documentari, reportage fotografici, programmi televisivi, che hanno ottenuto anche numerosi riconoscimenti a livello internazionale.

Delle sue produzioni, Rosa cura ogni fase: sceneggiatura, redazione dei testi, regia, fotografia, montaggio. Inizia a fotografare da bambino, poi, siamo negli anni ’70, su incarico delle Nazioni Unite, realizza reportages fotografici e cinematografici sulle problematiche dei Paesi del Sud del mondo. Qui nasce il suo amore per l’Africa, che visiterà in continuazione, raccontandola nei suoi documentari, tre dei quali sono in visione al festival.

Lucio Rosa, un documentarista che ha registrato i grandi avvenimenti del mondo,  un grande viaggiatore,  come è nata la tua passione per l’Africa? 

“L’uomo è nato in Africa, cioè noi siamo nati in Africa e questo fin da giovane mi ha spinto a cercare, in questo grande Continente, chi siamo. Negli anni Settanta sono stato convocato a Roma da alcune Agenzie della Nazioni Unite, che mi hanno chiesto di fare documentazioni fotografiche e cinematografiche su diversi progetti che loro finanziavano e sulla situazione di alcuni Paesi africani. Sono stato in Etiopia, Niger, Leshoto, Mali, Libia, Egitto, Eritrea, ecc. ho fatto poi film etnografici, sui Pigmei del Congo, in Etiopia e in Libia, recentemente. Ho conosciuto l’Africa da dentro, i problemi che la sua gente vive tutti i giorni, raccontato il presente e il passato di questa terra, delle sue genti e culture uniche, alcune delle quali oggi a rischio di estinzione”.

Della Libia parla anche una mostra, con 30 tue fotografie, una sezione del tuo omaggio al festival, visibile ora alla Galleria Fotoforum di Via Weggenstein, a Bolzano, che porterai poi anche a Tripoli. 

“Sì, Tripoli è nel mio cuore, amo la Libia da 25 anni, quando ero lì per le prime volte, un amore che poi è diventato un film, che ha ricevuto già 13 riconoscimenti nel mondo, “Il segno sulla pietra”- Il Sahara sconosciuto degli uomini senza nome.”. Il deserto è una cosa magica, c’è chi lo soffre, chi come me lo vive molto bene: trovarsi davanti a pitture rupestri di 15.000 anni fa non può che colpirti il cuore. Ho fatto ben 24 film sull’Africa, anche piccoli, piccoli. In due missioni che ho fatto ad esempio con Anna in Etiopia, ho conosciuto la gente delle tribù della Valle dell’Omo, era tre anni fa che ho fatto il mio ultimo lavoro in Etiopia. Ora mi manca un po‘ l’Africa, ci sono stato per anni anche due volte l’anno. Ma io non faccio viaggi corti, solo lunghi, devo conoscere in profondità e adesso la situazione lì è un po’ complicata. Per il “Segno sulla pietra” ci sono stato 92 giorni in due momenti, il secondo nel 2005, quando ho potuto filmare il ritorno delle piogge in Libia”.

Il lavoro di viaggiatore-documentarista ti ha richiesto anche molti sforzi fisici..

“Eccome. Ad esempio quello sui pigmei Babinga, che stanno al nel Congo Brazzaville, al confine col Centro Africa. Eravamo 4, più 15 portatori, 250 chili di materiale, tra cui 60 chili di pellicole, in rulli da 120 metri. Il viaggio, una parte in piroga, nel fiume nerissimo, poi 60 chilometri a piedi nell’acqua, sotto le piccole piogge (per fortuna non c’erano le grandi…) e i moscerini che invadevano costantemente gli occhi; da mangiare solo scatolette e riso. Senza lampade, solo con i fuochi, in accampamenti mobili, filmavamo tutto il giorno. La foresta pluviale distrugge più del deserto: un’umidità che non finisce più. Con i piccoli uomini sono rimasto 65 giorni, era il 1987: ho documentato gli ultimi istanti di un mondo che va a sparire e sono contento che Piero Angela abbia fatto la prefazione del mio film. Era lo stesso anno in cui feci, come giornalista la mia prima Parigi-Dakar.”

Sì, per fare questo lavoro, ci vuole decisamente  fisico.

Lucio  - ARRIFLEX  SR2-Babinga

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